Intervista a Massimo Di Cataldo

Intervista a Massimo Di Cataldo

Eccoci a voi con una nuova e incredibile intervista, concessaci con grande generosità da uno dei massimi esponenti della musica italiana. Con estremo piacere e orgoglio abbiamo la possibilità di scoprire di più sul grande Massimo Di Cataldo, pietra miliare della musica nazionale e internazionale, instancabile e prolifico autore e artista che ha calcato palchi italiani ed esteri di prim’ordine. Ogni presentazione e tentativo di raccontare in poche righe la sua arte e il suo profilo sarebbero insufficienti, un tentativo che cerco di colmare con l’aiuto dell’artista e che questi, con la generosità che lo contraddistingue, mi permette di fare e ci permette di leggere di prima mano.

Leggiamo questo spaccato della vita del grande Massimo Di Cataldo, che ci racconterà il suo percorso, il suo rapporto con la famiglia, la sua umanità e generosità, nonchè qualcosa sul brano “C’è bisogno di credere“, col quale confermiamo la stima a questo eccellente esponente della canzone italiana che ci vizia da quando era quasi in fasce, con musica di ottima qualità!

 

Com’è nata la passione per la musica?

Sin da bambino, probabilmente grazie al mio papà che ne ascoltava tanta e mi faceva giocare con il suo magnetofono col quale registravamo le canzoni.

Quando e come hai capito di avere una marcia in più e avere un proprio stile/sound?

Ho avuto la possibilità di lavorare con ottimi produttori e spesso restavano colpiti da alcune soluzioni musicali che adottavo nella composizione e negli arrangiamenti, grazie alle collaborazioni con persone con maggiore esperienza ho imparato a realizzare quello che mi girava in testa è così è cresciuto il mio stile.

Come è stato concepito il lavoro più recente “C’è bisogno di credere”?

Il primo approccio è avvenuto in macchina, mentre guidavo ho cominciato a canticchiare questa melodia già con le parole e l’ho subito registrata con lo smartphone. Arrivato a casa mi sono messo al piano e ho sviluppato il resto. Nel giro di qualche minuto il brano era più o meno fatto. Poi durante la realizzazione ha preso ulteriormente forma.

Nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale, Cyber Attacchi e Fake News… secondo te in cosa dovremmo ancora credere e perchè?

Nella capacità dell’uomo di affrontare le difficoltà, dovremmo crederci ancora secondo me, ma soprattutto non dimenticare il coraggio. Non lasciarci allineare passivamente. Sono stati i liberi pensatori a creare quei dubbi che poi hanno aperto nuovi punti di vista e di crescita per l’umanità.

Negli esordi della tua carriera non possiamo non citare il talento precoce, che ti ha visto partecipare in tv come nello Zecchino d’Oro, per poi militare in gruppi underground. Cosa ci racconti di quegli anni?

La storia dello zecchino è vera a metà. Io non ero ufficialmente iscritto a quel concorso estivo per l’ammissione alla trasmissione televisiva. Avevo appena quattro anni e dal pubblico spontaneamente salii sul palco rivolgendomi al famoso Mago Zurlì Cino Tortorella con aria determinata “io voglio cantare” dissi e fu così che mi fecero cantare. Da allora la stessa determinazione mi ha accompagnato in molti progetti musicali e non solo, per poi ritrovarmi nei contesti underground di fine anni ‘80 e nel teatro, anche sperimentale dei primi anni ‘90.

Castrocaro: un festival che per te è rappresentato un punto di svolta… possiamo tracciare un prima e un dopo di quell’esperienza?

Lavoravo nella compagnia teatrale di Tato Russo a Napoli e chiesi un permesso per poter raggiungere Castrocaro terme dove si svolgeva il festival. Avevo mandato una musicassetta per posta e venni selezionato. Ero sicuramente emozionato ma mi piaceva molto l’idea di essere lì. Presentava la serata Claudio Cecchetto, insieme a un giovane Amadeus anche lui ai suoi esordi. Da lì in poi si aprirono tante possibilità per la mia carriera di cantautore.

“Che sarà di me”… cosa ne è stato di te, durante gli anni della prima partecipazione a Sanremo e la collaborazione con Marco Patrignani?

L’interrogativo nel titolo di quella canzone mi ha portato oltre le aspettative. È stato un periodo di grandi collaborazioni e senza dubbio con Marco Patrignani si era creata un’alchimia, la sua perseveranza sul lavoro è tuttora un esempio di grande dedizione e professionalità.

Parlaci invece di “Se adesso te ne vai”

Quest’anno ne compie 25, un bel traguardo per questa canzone che nacque quasi inaspettatamente. La frase “se adesso te ne vai non me ne frega niente” era uno sberleffo con la mia ragazza di allora, ma poi si rivelò tanto efficace da restare nel testo. Pippo Baudo scelse la canzone al primo ascolto e da allora quella storia ha girato il mondo.

Da “Crescendo” a “Dieci”… e il successo di “Come sei bella”. Anni e collaborazioni intense, sempre con il trait d’union di una produzione artistica di livello e di successo

Due album totalmente diversi tra loro ma nei quali cominciavo a sperimentare nuove direzioni entrambi comunque sempre più diretti ad un sound inglese con grandi sonorità spaziali e chitarre in tutte le loro declinazioni. “Cosa rimane di noi” sembrava salutare lo scenario per tornare con le nuove sonorità anticipate da “Come sei bella”. Il secolo stesso stava cambiando e con quella canzone sebbene inizialmente non molto apprezzata ottenni dei grandi risultati, a tutt’oggi è una delle più visualizzate e molto apprezzata dal pubblico femminile in quanto omaggio alla bellezza e alla forza delle donne.

Anni 2000: importanti collaborazioni internazionali e… Alex Baroni. Raccontaci quel periodo e qualcosa del grande e compianto collega Baroni.

Una collaborazione importante con un produttore incredibile Peter Usher per una versione inglese di un brano del Notre Dame de Paris, molti concerti all’estero tra cui anche in Canada e poi di nuovo in Inghilterra a registrare presso il complesso degli studi di Peter Gabriel dove ero già stato per l’album “10”. Della collaborazione con Alex Baroni posso dire che era l’inizio di un progetto che avremmo voluto portare avanti. C’era un bel affiatamento sul palco. La sua prematura scomparsa fu un duro colpo.

Parlaci del tuo impegno con Unicef, Greenpeace e altre associazioni benefiche… e come questo impegno ha influito sulla tua vita personale e professionale.

Come tante situazioni sono avvenute un po’ per caso, un po’ per predisposizione. Mi hanno contattato per prendere parte ad alcune manifestazioni e non ho esitato sebbene non ci fosse un cachet, ho ritenuto importante dare eco a buone cause. In qualche modo la popolarità può essere utile per veicolare necessità più importanti. In ogni occasione ho fatto delle splendide conoscenze che mi hanno senz’altro arricchito umanamente e di conseguenza artisticamente.

Recentemente ti abbiamo visto in tv su Rai 1, dove in diverso modo abbiamo conosciuto i tuoi genitori. Oltre alle esperienze in sè, ti chiediamo, com’è stato duettare con tuo padre e come ha inciso la figura dei tuoi genitori sulla tua crescita e sviluppo della carriera artistica?

Avevo cantato tante volte con mio padre ma in quella occasione fu bellissimo, un sogno che si avverava perché ero riuscito a portarlo in tv. Sia lui che la mamma mi hanno sempre sostenuto pur essendo piuttosto apprensivi.

Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?

Trovo che la musica sia diventata un po’ giocattolosa, non si fanno quasi più grandi produzioni, il sound mi sembra standard così come le strutture semplificate. Testi metaforici che sembrano non raccontare niente di definito. Gli artisti sembrano molto gestiti e patinati. A furia di assecondare questo fantomatico fattore X mi pare abbiano perso in autenticità.

Dalla tua esperienza di colonna della musica italiana e di oggettivo talento internazionale, cosa consigli ai giovani che vogliono intraprendere la professione musicale oggi?

Fatevi sentire, dite la vostra e le cose come stanno. Ormai siamo pieni di finti indie con capi firmati. Mettete i vecchi jeans coi quali state più comodi e suonate con passione. Non è importante essere bravi ma essere unici. E poi ridatevi i cognomi per favore, questi nomignoli pseudo originali sono ormai inflazionati e fanno sembrare più dei logotipi che degli artisti. Forse alcuni preferiscono essere identificati in un prodotto piuttosto che col proprio nome. Lo trovo alquanto svilente.

Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?

In generale cerco di conviverci, più o meno come tutti, a volte però non riesco a non provare una sottile rabbia che tende all’implosione come quando si guarda impotenti qualcosa che va in malora ma non ci si può fare nulla. È un vero peccato che tutte le cose meravigliose che potevamo fare ci siano state negate dalla condizione in cui versiamo. Nel bene e nel male tutto ciò influenza anche l’aspetto creativo.

Quali sono i programmi futuri?

Senza dubbio continuare a fare musica sperando al più presto di poter tornare on stage e soprattutto in tour. Viaggiare è quanto mi sia mancato di più in questi tempi di restrizione.

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